18 nov 2011

Versión italiana del cap 26 de "Niños a la Deriva"

Capitolo 26

 

·         Iperestesia al rumore

THERIDION CURACAVICUM

·         Histeria

AMBRA GRISAE 200 CH

MOSCHUS 200 CH

DAMIANA 30 CH

·         Iperemotività

IGNATIA 200 CH

 

A soli nove anni

mi avvicinai alle tue mani

vidi nel fondo dei tuoi occhi

tanto amore

per me incomprensibile

che mi fece versare

due calde lacrime.

 

Il dolore pungente, vedendo

quanto vano fosse stato

il tuo parlare

e il to fare,

mi raggiuns il petto

quando asciugasti le mie lacrime

con la carezza dei tuoi baci.

Avevi slanci così dolcì

come tu solo sapevi avere

con vecchi modi

che sempre ti furon fedeli.

 

La vecchia casa

dai piedi affondati nella sabbia

che ci fu aggiudicata

grazie al nonno

che era marinaio

bagnata da frange di mare

che cavalcavano sul vento

sopravviveva come te

vittoriosa, nonostante tutto,

su tempeste ed anni.

 

Mi facesti leggere il primo

romanzo- "blanca o Bruna"

scritto con parole d'amore

come fossero nate

dalle tue labbra, dalla tua lingua.

 

A nove anni appena

mi avviucinai alle tue mani

per leggere ancora quel vecchio romanzo

che sulle tue ginocchia riposava

mentre la tua testa e i tuoi occhi alti

cercavano il caldo controluce

della finestra.

 

Ad appena nove anni

mi avvicinai alla tue mani,

carezzata dai tuoi baci

mi sgorgarono due calde lacrime

come adesso

mentre scrivo questi versi.

 

Dalla mia avventura con l'atlante Manuel mi è rimasta addosso un'ipersensibilità in tutti icampi, ma l'iperacusia è quel che più mi dà fastidio. Sono contentissima di aver la mente fresca per il lavoro, di godere di vista acuta che mi fa leggere ancora alla luce tenue e di avere vari orgasmi ad ogni rapporto, ma il fatto che il minimo rumore m'interrompa il sonno mi sta alterando il sistema nervoso e mi fa reagire cone un'isterica di fronte alkla sia pur piccola contrarietà.

 

Non mi azzardo a definere l'iperemotività un fatto positivo, poiché mi vengono le lacrime agli occhi quasi a voler accompagnare l'inchiostro del mio Manueale della Solitudine, come a voler impedire che il nero finisca per colonizzare paesaggio come un fungo color seppia, come un'infezione di antieroi a testa bassa che tornino da una guerra senza essere riusciti a piazzare il loro Cavallo di Troia.

 

Da quando ho realizzato ilo mio desiderio di sperimentare un'avventura amorosa con uno sconosciuto, ogni volta che ritorno all'ospedale ho la sensazione che i colleghi mi guardino interrogandosi vicendevolmente circa il mio compotamento da "ultima arrivata"ancor priva del Manuale della Solitudine con istruzioni precise per vivere su questo mondo sovraffollato, dalle sale strapiene di persone sole, ma che, nello stesso tempo, si sforza di riempire le nostre ore "libere" di attività quotidiane come le cene fra amici, dove la cosa più importante è quello che si mangia.

 

Io preferisco osservare piccole cose, insetti, anch'essi prigionieri del mondo artificiale del laboratorio dell'Ospedale, i minimi dettagli, una macchia sul muro. Mi piace entrare nell'universo degli atlanti di oggi, come Rivas che costruisce un cosmo fatto d'immagini primordiali, immagini che mi piacerebbe trasfoirmare, al suo fianco, in parole, fino ad ubriacarmi con lui di quella sua lingua così carica di ritmo, di poesia. Mi piacerebbe parlare con Rivas, uomo centauro, guardando l'eleganza dei suoi capelli esposta all'aria della sua schiena di "pingueiras" così comuni in quelle terre mitiche, dove le donne han portato da sempre sulla testa ogni genere di cosa, anche le parole cariche di significato che portano con sé la memoria, le informazioni essenziali sull'umanità.

 

In questo tipo di universi non manca nulla e nulla è innecessario; neanche gli errori o le imperfezioni a causa dei quali dobbiamo fare ancora un altro sforzo per adattarci alla macchina diabolica che chiamiamo realtà e di cui potrebbe valer la pena vedere il congegno.

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